La terapia della gotta
Sulla terapia della gotta i medici hanno dato prova di ampia fantasia. Scribonio Largo (46 d.C.), ad esempio, per la cura dell’attacco acuto di gotta propone un originale protocollo di elettroanalgesia: “Appena il dolore gottoso comincia, il paziente deve mettere sotto il piede una torpedine nera viva”. Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), medico romano ed archiatra pontificio, passò in rassegna i vari tipi di terapia della gotta in uso nelle diverse parti del mondo.
Nel Dizionario Classico di Medicina Interna ed Esterna del 1833 si propone un’ampia e variegata gamma di possibili interventi quali: “apponimento giornaliero di cataplasmi emollienti”, “vescicatori”, “soleggiamento”, “fregagioni ed embrocazioni con materie grasse ed oleose”, “esposizione dell’arto ad intenso fuoco”, “cacciate di sangue locali”, “applicazione di sanguisughe nei dintorni dell’articolazione”, “copioso salasso praticato sul braccio”, “applicazione locale di ferro arroventato”.
Per quanto concerne la terapia farmacologica l’armamentario dei medici ottocenteschi era certamente ampio e comprendeva: guajaco, china, arnica, cannella, menta pepata, legno amaro del Surinam, zenzero, pepe, narcotici 3?
La posizione sulla dieta era categorica: “Deggiono i gottosi usare la massima attenzione sul metodo alimentare; la dieta vegetabile e l’astinenza dal vino alleviarono maggior numero di malati che non verun altro mezzo farmaceutico”.
L’uso terapeutico dell’acqua ha da sempre costituito parte integrante degli schemi di trattamento della gotta, che si sono succeduti nel corso dei secoli. Il bagno ristoratore e lenitivo non si è mai negato ai malati reumatici e, in particolare, ai pazienti con gotta cronica. Nelle ricette ottocentesche si rileva spesso la prescrizione di “bagni prolungatissimi di acqua semplice, a cui aggiungerassi la continua applicazione di cataplasmi emollienti e narcotici”.
L’azione terapeutica dell’acqua è stata molto valorizzata anche sul versante della idropinoterapia. Il concetto dell’acqua che depura e che scioglie in qualche modo le concrezioni di acido urico che deturpano il corpo dei malati di gotta cronica è chiaramente espresso in una autorevole ricetta della prima metà dell’800. Al paziente con gotta viene prescritto di “bere abbondantemente acqua caldissima (quarantotto bicchieri da sei once ognuno, senza sosta)”.
Nel disperato tentativo di trattare le più gravi forme di gotta si cercarono soluzioni anche estreme basate su osservazioni epidemiologiche inequivocabili. Il fatto, ad esempio, che la gotta risparmiasse gli eunuchi era noto da gran tempo e non era sfuggito allo stesso Ippocrate: “eunuchi non laborant podagra”. Ciò portò all’introduzione della castrazione nel trattamento della malattia.
Fortunatamente per i pazienti, gli orientamenti in tema di terapia della gotta si sono radicalmente modificati nel corso degli anni ed oggi questa malattia può essere considerata curabile, se si attua una pronta ed efficace strategia di trattamento.
La terapia della gotta ha due obiettivi fondamentali: la riduzione dei livelli di acido urico al di sotto dei valori di 6,0 mg/dl e la prevenzione o il trattamento degli episodi di flogosi acuta da microcristalli e/o delle complicanze extra-articolari della malattia.
Le linee guida dell’EULAR 4 costituiscono oggi lo standard internazionale di riferimento e forniscono chiare indicazioni per la corretta gestione degli episodi acuti e per la riduzione dei livelli di uricemia. La colchicina, gli anti-infiammatori non steroidei e l'iniezione intraarticolare di steroidi consentono di arrestare l’attacco acuto di gotta tanto più efficacemente quanto più rapido è l’inizio del trattamento. Gli obiettivi strategici della terapia sono il controllo sintomatologico durante gli attacchi acuti, la modifica dei fattori di rischio, la farmacoterapia per la prevenzione delle recidive e delle sequele croniche, l’arresto della formazione di aggregati di cristalli di urato monosodico a livello articolare ed extra-articolare e l’induzione della dissoluzione degli aggregati già formati (depositi tofacei) raggiungendo e mantenendo nel tempo un livello di uricemia persistentemente al di sotto dei 6,0 mg/dl attraverso una terapia ipouricemizzante da condurre in maniera continuativa.
Un trattamento non adeguato della gotta, infatti, può avere conseguenze significative per il paziente, con un aumento del numero di attacchi acuti, una ridotta qualità di vita e della capacità lavorativa, nonché un incremento del consumo di FANS e di corticosteroidi.
Nei soggetti con gotta e/o iperuricemia, inoltre, coesistono frequentemente ipertensione arteriosa, nefropatia cronica, ipercolesterolemia, obesità ed un aumentato rischio di eventi cardiovascolari (“sindrome metabolica”).
La gotta, quindi, essendo una malattia progressiva e debilitante, va trattata anche per prevenire il più precocemente possibile la cronicizzazione della malattia e l’instaurarsi di danni irreversibili.
L’allopurinolo è il farmaco di riferimento tradizionale per la riduzione dei livelli di uricemia, per la prevenzione dei depositi tofacei e per la dissoluzione di quelli già formati.
Il febuxostat, di recente introduzione, è una efficace alternativa all’allopurinolo e ha dimostrato un’efficacia superiore nell’ottenere e mantenere il target terapeutico di uricemia ≤ 6,0 mg/dl indicato dalle raccomandazioni EULAR in studi clinici condotti su diverse tipologie di pazienti gottosi, compresi quelli con livelli basali di uricemia > 10,0 mg/dl e quelli con insufficienza renale lieve-moderata.
In conclusione, la gotta, regina delle malattie, non è più oggi malattia dei re, potendo essere efficacemente prevenuta ed adeguatamente trattata. Regole e farmaci si possono armonizzare in modo eccellente nel singolo soggetto in modo tale da arrestare l’evoluzione del danno anatomico ed evitare la comparsa di drammatiche ed irreversibili complicanze.